Alburni, cuore verde del Cilento
Dalla piana del Sele, volgendo le spalle al mare e ai Templi di Paestum, i monti Alburni si innalzano come giganti di roccia chiara, ricoperti di vegetazione, mossi da gole, grotte, crepacci e piccoli canyon; profumati dalle mille essenze dell’Appennino e animati da paesini in stretta sequenza, adagiati tra i seni di colline che si fanno via via sempre più irte.
E’ questo il primo colpo d’occhio che offre questo massiccio, che i locali chiamano Dolomiti Campane per via della natura calcarea della roccia. Uno spezzone di Appennino lucano che incarna il volto più indomito e selvaggio del Parco Nazionale del Cilento.
Una cortina di giganti silenti, che la leggenda identifica con una banda di Titani ribelli, sconfitti e pietrificati da Zeus e che l’orografia scandisce secondo i nomi delle vette più alte: Monte Panormo, Cervati, Monte della Nuda, Gelbison, Stella.
Da Capaccio a Trentinara
La mia veloce esplorazione parte da Capaccio capoluogo, a 419 metri di quota , una terrazza sulla piana del Sele, da dove, nelle giornate limpide, l’occhio spazia sull’area archeologica di Paestum, il Golfo di Salerno e la Costiera Amalfitana.
Lo spettacolo è però al tramonto, quando la palla infuocata del sole si tuffa tra l’isola di Capri e Punta Campanella.
Anche il paesino non è male. Setacciando il centro e i primi dintorni, si incontrano palazzetti antichi con bei portali in pietra, fontane monumentali come quella dei Tre Delfini e architetture religiose di pregio, come la Basilica della Madonna del Granato del I secolo a.C., restaurata agli inizi del 1700, o il più recente Santuario del Getsemani.
Sugli Alburni, i paesi si trovano in stretta sequenza, difficile perdersi seguendo le indicazioni stradali. Spostarsi a piedi o a dorso d’asino da uno all’altro era un tempo la prassi quotidiana.
Salendo un poco di quota, incontro così Trentinara, borgo di impianto medievale, una specie di sentinella sulla Gola dei Tremonti, dove la case poggiano sulla roccia viva e i cortiletti schiudono scene d’antan, con anziane di età indefinibile che puliscono le verdure dell’orto o rammendano nella penombra di minuscoli giardini.
Uno dei punti più caratteristici del borgo è la Via dell’Amore, un vicoletto decorato con le maioliche dell’artista Sergio Vecchio, che richiamano i versi di famose poesie d’amore.
Trentinara è una base ideale per escursioni anche impegnative sul Monte Vesole e ogni anno, ad agosto, regala a cittadini e turisti un’animatissima Festa del Pane, uno degli eventi clou dell’estate cilentana.
E c’è anche la zip line Cilento in Volo, un minuto e mezzo di adrenalina pura, sospesi a 300 metri dal suolo, accompagnati dal sibilo di una carrucola che scivola su un cavo d’acciaio lungo 1500 metri (velocità massima 120 km orari) e che schiude panorami da urlo su tutta la costa e l’entroterra.
La Riserva Naturale delle Gole del Calore
Da Trentinara riparto in direzione Magliano Vetere e Laurino, borghi di poche migliaia di anime ma che in passato ebbero un ruolo importante tra questi monti pallidi.
A Magliano, nel medioevo, si batteva moneta come in ogni città stato che si rispetti; mentre il ricco passato di Laurino è testimoniato da una serie di palazzi gentilizi con eleganti portali in pietra locale e altrettante Cappelle, come quella bellissima dedicata a San Nicola.
Oggi, a dare grande valore a questi borghi, è il ricco habitat naturalistico in cui sono immersi. Ci troviamo infatti nella Riserva Naturale delle Gole del fiume Calore, un ambiente più che selvaggio, disegnato da cinque profonde forre, dei veri e propri canyon, scavate nella roccia dalla forza del fiume.
Le gole, di cui la prima si snoda alle falde del monte Cervati, si presentano sia spoglie che ricoperte di vegetazione, come quella alle spalle di Laurino e a dispetto del loro carattere impervio, sono la casa di specie faunistiche di grande interesse, come la lontra, la salamandra dagli occhiali, il martin pescatore, il merlo acquaiolo.
Una particolarità della quarta e della quinta gola sono le cosiddette Marmitte dei Giganti, enormi fori circolari nelle pareti a diretto contatto con l’acqua, formati durante del piene dai mulinelli che la corrente del fiume genera.
Le gole si possono visitare grazie a percorsi di trekking a piedi o a cavallo di diversa difficoltà, a escursioni guidate in canoa e pedalò e per i più ardimentosi, anche con esperienze di torrentismo.
Verso Roscigno Vecchia, il paese in movimento
Lasciate le Gole del Calore, faccio rotta verso Roscigno, concedendomi una toccata e fuga nel paesino di Sacco, 474 anime, dove si annida una meraviglia tardo barocca: la chiesa di San Silvestro Papa, la più grande di tutta la diocesi di Vallo della Lucania, con all’interno una serie di pregevoli pietre sepolcrali e una bellissima statua lignea raffigurante la Madonna.
Tesori insospettati in luoghi così fuori mano, dove la popolazione è fatta in buona parte da anziani, che trascorrono il tempo giocando a carte al circolo ricreativo o accoccolati sui gradini di casa a conversare coi vicini.
Arrivata a questo punto, sono pronta al grande incontro con un luogo unico, entrato nel lungo novero di beni Patrimonio Unesco: Roscigno Vecchia ovvero il paese in movimento, dove, nel secolo scorso, a causa di importanti movimenti franosi, la popolazione fu costretta a spostarsi a est, in quella che è oggi Roscigno Nuova.
Nel vecchio borgo, tutto è però rimasto come un tempo, un vero e proprio museo a cielo aperto. Un luogo dal forte impatto visivo ed evocativo, memoria della vita di contadini, pastori e artigiani, che si insediarono su questa collina ai piedi degli Alburni.
Accompagnata dal simpatico Franco Palmieri, presidente e anima della Pro Loco, mi aggiro tra i vicoletti, osservo le architetture rurali, le case basse in pietra, le antiche botteghe, la chiesetta e la piazza centrale con la fontana circolare, gli alberi che danno ombra e i resti di quello che era luogo di aggregazione per eccellenza.
Uno stabile ospita il Museo Etnografico, dove sono stati raccolti oggetti di lavoro e di vita quotidiana. Attrezzi e suppellettili che, nella loro semplicità, raccontano tanto. “Uno spaccato di una civiltà che muore affogata nel nuovo”, scriveva un giovane cronista del Mattino di Napoli, che per primo raccontò di questi luoghi.
Roscigno Vecchia è forse uno dei borghi abbandonati più famosi d’Italia, Tv e giornali ne hanno parlato diffusamente, il che lascia ben sperare ai fini di un suo pieno recupero e conservazione, anche grazie all’intervento di enti e associazioni pubblici e privati.
Verso le Grotte di Sant’Angelo a Fasanella
Non si possono lasciare gli Alburni senza una visita alle tante grotte che il loro marcato carattere carsico ha modellato.
Una di queste, forse la più famosa e visitata, è quella dell’Angelo o Grotta di San Michele Arcangelo, nel comune di Sant’Angelo a Fasanella, trasformata in chiesa rupestre da una comunità di monaci benedettini, che vi si insediò attorno all’XI secolo.
Dire che gli interni sono suggestivi è davvero poco; il santuario è una vera e propria opera d’arte a cui hanno messo mano uomo e natura insieme.
All’ingresso, balza agli occhi un portale quattrocentesco con capitelli decorati e figure scolpite di un leone e una leonessa in stile neoromanico, mentre all’interno colpisce la pavimentazione disseminata da stallagmiti di tutte le dimensioni e cumuli di antiche sepolture.
Diverse, anche le opere d’arte di manifattura pregiata, come un altare seicentesco dedicato all’Immacolata, un organo, una statua trecentesca della Vergine con Bambino di scuola napoletana e un pozzo rivestito di ceramiche partenopee del XVII secolo.
La gente e i personaggi negli Alburni
Di indole forte e pervicace, la gente di questi monti è un concentrato di resilienza e spirito di accoglienza. L’asprezza della montagna non ha intaccato la loro voglia di comunicare con chiunque arrivi da fuori. E l’immancabile offerta di un caffè altro non è che il segno di un’ospitalità semplice ma genuina.
Nel mio girovagare tra monti, grotte, altopiani e paesini, ho incontrato persone fantastiche, che mi hanno fatto capire quanto importante sia non dimenticare le proprie radici e spendersi per i propri territori.
A Magliano Vetere, ho conosciuto, per esempio, Giuseppina Corcillo, una cascata di riccioli chiari e lo sguardo arguto, che oltre a preparare profumate confetture con la frutta del suo orto, padroneggia alla grande l’arte del tombolo, che le ha consentito di avviare una piccola attività artigianale.
Giuseppina confeziona pizzi raffinati, complementi d’arredo, ventagli, braccialetti, orecchini e ninnoli di fogge varie. E nonostante la sua Magliano non sia una metropoli, non si sente affatto isolata e via social comunica col mondo intero.
Alle porte di Bellosguardo, tra boschi di latifoglie e macchia mediterranea, Angela Brancato gestisce, con l’aiuto dei figli Enrico e Andrea, l’Agriturismo Villa Vea, una terrazza soleggiata sulle ripide valli degli Alburni, dove si assapora un’ospitalità informale e casereccia, complici le sue spiccate doti di cuoca e il suo inglese fluente, che fa sentire a casa anche gli stranieri.
Una storia forte e coraggiosa, quella di Angela. Emigrata negli USA col marito e rimasta vedova per uno smacco del destino, decise di far ritorno alla terra natale e avviare un agriturismo su un podere acquistato precedentemente, un sogno che lei e il consorte avevano sempre accarezzato.
La star dei luoghi è però Giuseppe Spagnuolo, ovvero il custode di Roscigno Vecchia, l’uomo con folta barba bianca, pipa e cravatta, che da decenni veglia sul vecchio borgo, diventando punto di riferimento per turisti e curiosi.
Con un passato da emigrante tra il nord Italia e la Svizzera, il signor Giuseppe ha deciso di far ritorno ai luoghi d’origine, per diventarne memoria vivente e godersi la meritata pensione.
Ma gli Alburni sono anche una piccola miniera archeologica, poiché nei millenni tanti sono stati i popoli che vi hanno abitato. A un paio di chilometri da Roscigno, si annida infatti il sito archeologico del Monte Pruno, sede di un grande insediamento enotrio e lucano databile tra il VII e il III secolo a.C.
Lo si raggiunge con un robusto fuoristrada su un tracciato non poco accidentato, tra boschi, radure e valloni. Qui, la professoressa-archeologa Bianca Ferrara dell’Università Federico II di Napoli, con un piccolo gruppo di allievi e volontari, è impegnata da tempo nel riportare alla luce un importante insediamento di età lucana, di cui si distinguono le mura e i cardini delle porte d’ingresso, i passaggi minori e le torrette di avvistamento. Segni che lasciano intendere quanto importante e strategico fosse questo luogo; probabilmente un punto di passaggio e collegamento tra l’entroterra e la costa.
Aldilà dei ritrovamenti, quel che più emoziona in tutta questa “avventura archeologica” è vedere con quanta passione e dedizione gli allievi della prof. si dedicano all’impresa, incuranti dell’asprezza dei luoghi, dei disagi di un’intera giornata all’aperto, con una semplice tettoia sotto la quale consumare il pranzo e ripararsi dai raggi più aggressivi del sole. Una testimonianza giovane e fresca di quanto sia importante ricercare nel passato le radici del presente e farne tesoro per scrutare il futuro.
Come arrivare
In auto, l’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria costeggia il Perimetro del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni sui lati settentrionale e orientale. Le uscite più comode per gli Alburni sono Campagna, Sicignano e Petina; Sala Consilina e Padula per l’area del Cervati.
La statale 166 degli Alburni taglia in senso longitudinale il Parco da San Rufo a Capaccio Vecchio;
In treno, si può utilizzare la linea Battipaglia-Lagonegro che lambisce il versante settentrionale degli Alburni.
Mangiare e Dormire
Agriturismo Terra Nostra, a Corleto Monforte (Sa), una grande tenuta con azienda biologica incorniciata da vette, campi carsici e faggete. Il ristorante utilizza le materie prime di produzione propria e propone i piatti forti del territorio: fusilli, cavatelli, scialatielli e spaghetti alla chitarra rigorosamente fatti in casa, porzioni abbondanti e atmosfera casereccia. Ben allestiti anche le camere di varia tipologia e miniappartamenti con formula residence.
Agriturismo Villa Vea nel comune di Bellosguardo (Sa), le nove camere allestite con mobili e suppellettili in arte povera sono state ricavate all’interno del vecchio fienile. Il ristorante occupa un’unità distaccata e vede la regia della chef e padrona di casa Angela Brancato. Ampia anche l’offerta degli altri servizi che spaziano dalla piscina alle escursioni a cavallo.
Iumara B&B A Omignano, ai piedi degli Alburni, questa grande tenuta con casa padronale è diventata un’accogliente ed elegante struttura di ospitalità, con ristorante gourmet, dove lo chef Andrea d’Anna propone Carpaccio di bufala con salsa di agrumi; cavatelli fatti a mano con pomodorini rossi e gialli della piana del Sele e provola affumicata di bufala; filetto di maiale con glassa al miele e mirto; tortino al cioccolato caldo con retrogusto di peperoncino. Ampie e luminose anche le camere, allestite con dettagli di pregio e ceramiche d’autore.
Crediti fotografici: Parks.it ; Parco Nazionale Cilento, Vallo di Diano e Alburni; Trip Advisor; Domenico Cavallo; Iumara B&B.
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