Champagne (Francia), viaggio tra le bollicine più famose
Viaggiando da Reims a Troyes, nella regione della Champagne, Francia settentrionale, si incontrano paesaggi dolci, colline come giardini, geometrie di vigneti coi filari in stretta sequenza per sfruttare al meglio i raggi del sole.
A rendere unico un nettare come lo Champagne, ci spiegano i produttori, sono proprio questo terreno calcareo gessoso, che favorisce il drenaggio dell’acqua, nonché il clima e la posizione geografica aperta alle correnti fredde dell’Atlantico, che non incontrano ostacoli naturali fino alle modeste Montagne di Reims.
Il resto lo fanno la mano e la passione dell’uomo, la cura maniacale che i cosiddetti manipulants dedicano alla vigna. Il loro lavoro è scandito dalle stagioni. D’inverno, si fanno le potature; in primavera, le legature e il diradamento delle gemme; in estate, si devono sfrondare e separare i tralci. In autunno, quando l’uva ha raggiunto la giusta maturazione, è il momento della vendemmia, fatta rigorosamente a mano, per selezionare i grappoli migliori e mantenerli fino alla torchiatura.
La produzione dello Champagne è disciplinata da regole rigorosissime, entrate in vigore nel lontano 1927, che limitano le rese per ettaro, la quantità di mosto da torchiare, l’altezza e la distanza tra i ceppi. Dettami severi ma anche indispensabili, per tutelare la qualità e il prestigio di uno dei vini più famosi al mondo.
Ogni anno, nella Champagne, si producono qualcosa come 300 milioni di bottiglie, dei quali circa 120 destinati al mercato estero, dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, dalla Germania all’Italia, che da sola ne stappa circa 8,5 milioni.
Le principali zone di produzione sono quattro: la Montagna di Reims; la Vallée della Marna a ovest di Ay; la Còte des Blancs e la Còte des Bars e Montgueux, con propaggini dolci comprese tra la Senna e l’Aube.
Per produrre lo Champagne si utilizzano essenzialmente tre vitigni: Pinot nero, coltivato per lo più sulle montagne di Reims; Pinot Meunier diffuso nella Valle della Marna e lo Chardonnay, che conferisce aromi floreali. Accanto a questi, il Disciplinare consente un utilizzo contenuto di altre due uve, l’Arbane e il Petit meslier, impiegate soprattutto nelle cantine dell’Aube.
Subito dopo la raccolta, i grappoli vengono sottoposti a una pressatura soffice, che non frantuma la buccia e non compromette la colorazione del succo. Da 160 chili d’uva si ricavano circa cento litri di mosto. Eliminata la feccia, dopo alcune ore di decantazione, si trasferisce il tutto in cisterne d’acciaio dove fermenta fino alla totale trasformazione degli zuccheri in alcool.
A questo punto si passa all’assemblaggio: vini di tipo ed età diversi sono mescolati e filtrati per ottenere un vino equilibrato e armonioso. Alla cuvée così ottenuta, ogni maison aggiunge il suo liqueur de tirage, composto da zucchero di canna e fermenti attivi.
Una volta imbottigliato, il vino viene lasciato riposare in cantine fresche e buie in posizione orizzontale, in modo che i lieviti possano trasformare lo zucchero in alcool e in briose bollicine di anidride carbonica, che fanno salire a sei atmosfere la pressione interna alla bottiglia. Questa fase, in genere, dura almeno 15 mesi per i brut e da tre a dieci anni per i millesimati più prestigiosi.
Le bottiglie vengono quindi trasferite sulle pupitres, cavalletti particolarissimi, fatti di due tavole in legno munite di fori e unite sulla sommità. Per quattro - cinque settimane, tutti i giorni, mani esperte le ruotano di un quarto di giro in senso orario (remuage) per favorire il deposito dei sedimenti verso il tappo. Operazione lunga, fatta quasi sempre a mano o con l’ausilio di macchine automatiche, le gyropallette, gestite da un computer. Si arriva così alla sboccatura (dégorgement), che ha come obiettivo l’eliminazione dei depositi e delle impurità.
Un tempo, questa operazione si faceva manualmente aprendo la bottiglia verso il basso e poi rigirandola rapidamente. Oggi, si preferisce passare il collo della bottiglia attraverso una miscela refrigerante che lo congela rapidamente; tolto il tappo d’acciaio, la pressione provoca la fuoriuscita del sedimento ghiacciato. Il livello si ripristina aggiungendo la cosiddetta liqueur de dosage, una miscela rigorosamente segreta composta da vino invecchiato e zucchero di canna in dosi variabili a seconda del tipo di Champagne che si vuole ottenere (Brut, Sec, Demi Sec e il dolce e piuttosto raro Doux).
Il sistema produttivo è lungo e costoso, richiede manodopera e cantine molto ampie. Ecco perché la produzione spesso si concentra nelle grandi maisons, che comprano le uve dai récoltant, che si limitano a coltivarla e a venderla.
Moet et Chandon, Taittinger, Bollinger, Mumm, Pommery sono alcune tra le più celebri case produttrici di Champagne, facilmente reperibili anche negli scaffali delle enoteche italiane. Le maisons sono organizzate per ottenere prodotti di qualità, ma anche per accogliere i turisti in cantine enormi, lunghissime, scavate nelle viscere della terra.
E poi, ci sono i piccoli produttori, i récoltant manipulant che coltivano e vinificano in proprio. Noi li abbiamo incontrati, è gente orgogliosa, che ama la propria terra e dalle uve vuole ottenere il meglio e il massimo. Come Anselme Selosse, della cantina Jacques Selosse ad Avize; produce poco più di 45000 bottiglie l’anno, meno di quanto i disciplinari gli consentirebbero in rapporto al terreno coltivato.
<<La vigna e il vino sono vivi - racconta – ecco perché questi ultimi sono e devono essere sempre diversi. Gli Champagne non possono essere standardizzati per esigenze commerciali, ma devono esaltare le caratteristiche del terreno nel quale sono state coltivate le viti. Per questo ogni anno lavoriamo la terra per renderla più porosa e favorire il drenaggio dell’acqua. Preferiamo inoltre agevolare le difese immunitarie della vigna e non impiegare prodotti chimici. La biodinamicità è un mezzo per ottenere Champagne di grande personalità.>>
Eccellenti sono anche i vini di Pierre Larmandier di Vertus; produce modeste quantità di champagne, ma di carattere, <<non apolidi>>, precisa. La sua filosofia si percepisce degustando il brut base o nel Cramant Gran Cru, un vino di classe più complesso e persistente che nasce da viti anche di più di 30 anni.
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Tutte le immagini del reportage sono di Alberto Campanile