Pizza Napoletana, il piacere è servito !
Chi conosce Napoli sa benissimo che, qui, mangiare pizza è innanzitutto un modo di vivere, un rito collettivo, un fatto di costume. Una delle forme più antiche di fast food e anche di street food, poiché è un’abitudine comprare pizza dai banchetti esterni delle pizzerie e consumarla al momento, ripiegata a libretto, per meglio immergersi nel suo sapore.
Ruolo non trascurabile, in questo antico rito di popolo, lo esercitano naturalmente le voci, le atmosfere, gli umori dei vicoli, l’estro dei pizzaioli, gli arredi semplici e informali delle pizzerie storiche, sui cui tavoli e tavoloni si mangia rapiti dai colori e dai profumi che provengono dal piatto. E dove, a pizza terminata, si deve lasciare velocemente il posto a chi attende disciplinatamente in fila.
E’ proprio tra alcune di queste pizzerie che vi vogliamo portare, in una specie di pellegrinaggio alle radici di un cibo di poveri e di re, simbolo di una città, il cui nome compare in tutte le lingue, intraducibile e mai tradotto, compreso tuttavia in ogni angolo della terra.
Sono due le varianti dell’autentica pizza napoletana: Marinara e Margherita, con pomodoro, aglio e origano la prima; pomodoro, mozzarella o fior di latte e basilico la seconda. I dettami sono racchiusi in un Disciplinare, che non trascura alcun aspetto, dalla qualità degli ingredienti ai tempi di lievitazione della pasta, dall’equilibrio dei sapori alla cottura, che avviene in forni a legna, costruiti con tufo, mattoni refrattari, terracotta, gesso, calce e sabbia di mare.
Eccoci allora Da Michele , in via Cesare Sersale, a due passi dal quartiere Forcella, nel ventre di una Napoli squisitamente popolana, dove da cinque generazioni la famiglia Condurro sforna pizze rosse di pelati San Marzano, filanti di mozzarella fior di latte, profumate di basilico, non troppo grandi, con impasto sottile ed elastico al centro, e con i bordi, i “cornicioni”, ben cotti e dorati. Per l’impasto si usa ancora il crìscito, la pasta preparata il giorno precedente a quello della cottura, che lievita naturalmente. Ogni altra variante a Margherita e Marinara è liquidata come “papocchia”, piena di cose che fanno male allo stomaco e al portafogli. Questo è sempre stato un posto caro ai napoletani doc e ad attori famosissimi: Totò, Eduardo De Filippo, Nino Taranto che, terminate le recite al vicino teatro Trianon, venivano qui a rifocillarsi.
Pochi minuti a piedi, ed eccoci a Spaccanapoli e al quartiere San Lorenzo, nella città greco-romana, densa di vita e di colore, dove si annida quella che è considerata la pizzeria in assoluto più antica, Port’Alba, aperta nel 1738, per rifornire i venditori ambulanti. Un locale che non conosce sosta: al mattino, si sfornano una dopo l’altra le pizze “da portare”, per una prima colazione nutriente o uno spuntino di metà mattina; a pranzo e a cena, è la volta delle pizze più grandi e più condite per chi si accomoda al ristorante. E avanti così fino a notte fonda.
Di fronte, c’è la pizzeria Bellini, a pochi passi da piazzetta Bellini, che la sera diventa una delle zone più animate del centro storico. Il locale, che è anche ristorante, fu aperto nel secondo dopoguerra dai coniugi Tommasino, che da imprenditori arguti, adottarono anche la formula della “pizza a otto”, facendo in modo che anche i più poveri potessero acquistarla pagandola nell’arco di otto giorni.
Spostandoci in via Chiaia, la via dell’eleganza, dello shopping d’elite, che affianca sul lato destro, rispetto a chi sale, i Quartieri Spagnoli, approdiamo ai tavoli di una pizzeria legata alla storia della pizza Margherita: Brandi alias Antica Pizzeria della Regina d’Italia dal 1780 .
Storia più che conosciuta, ma che è sempre bello rinfrescare. Nel 1889, Raffaele Esposito, capostipite di questa famiglia di pizzaioli, fu invitato dal re d’Italia Umberto I a preparare quel cibo che tanto piaceva alla gente comune. Salito alla Reggia di Capodimonte con un carretto pieno di ingredienti, Raffaele preparò tre pizze diverse, una bianca con olio, formaggio e basilico; una con i cicinielli, dei pesciolini; una con pomodoro e mozzarella, che la regina Margherita mostrò di gradire particolarmente e che, da quel giorno, porta il suo nome.
Nel quartiere di Materdei, tra il respiro dei vicoli e l’omonima piazzetta, facciamo infine tappa alla Pizzeria Starita, nata nel 1901 come cantina, uno spezzone della Napoli di Marotta, che nel 1954 fece da sfondo ad alcune scene del film L’Oro di Napoli, in cui una splendida e giovanissima Sofia Loren vestiva i panni di una pizzaiola adultera.
Il locale, gestito ininterrottamente dalla famiglia Starita, è piccolo ma curato, vi si respira un’atmosfera piacevole, cortesia nel personale, grande velocità nel servizio e tanti ricordi dovuti ai numerosi riconoscimenti in Italia e Oltreoceano.
La pizza è davvero buonissima, frutto di un’attenta selezione degli ingredienti, di grande rispetto dei tempi di lievitazione (almeno 8 ore) e delle temperature del forno a legna. Particolari che, come insegna il cavaliere Antonio Starita, titolare e maestro d’arte bianca, fanno la differenza.
Link utile: Associazione Verace Pizza Napoletana
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