San Francisco, dolce vita d’America .
L’autunno è un periodo buono per visitare San Francisco (California), una delle città più affascinanti degli USA e del mondo.
La nebbia del mattino, compagna inseparabile per quasi tutto l’anno, accenna a qualche tregua e un sole generoso fa il paio con la brezza del Pacifico, inondando tutto quel su e giù di quartieri orlati da case vittoriane e viali alberati. Una gobba di cammello via l’altra, che offre a chi si sposta sui mezzi o in Cable-Car, i tram d’epoca, divenuti una delle icone nonché monumento storico, ebbrezze da montagna russa, come se il tutto fosse un grande, meraviglioso luna-park.
La prima volta che l’ho vista o meglio spiata da Telegraph Hill, uno dei suoi punti panoramici più arditi, mi è venuto spontaneo chiedermi perché mai San Francisco fosse stata costruita proprio lì, in un posto che mi sembrava un po’ bislacco, su una lingua di terra neppure tanto bella, bisognosa di ponti per comunicare col continente. In un luogo dove la nebbia bagna ampiamente il naso alla nostra in Val Padana e dove tutto sembrerebbe destinato a svanire, inghiottito dal botto di un futuribile Big One.
Possibile che questi californiani non abbiano saputo leggere le criticità del territorio prima di impiantarvi una città così bella, aperta, libera, irriverente e visionaria, faro della West Coast fin dai tempi della corsa all’oro?
Un pensiero che, a poche ore dall’arrivo, non trovava facile risposta.
Poi, quando ho iniziato a setacciarla quartiere per quartiere, a misurarmi con il su e giù di strade e boulevard; a respirare l’aria salmastra dei moli; a distinguere le sirene per turisti dalle buone pratiche per viaggiatori; a incantarmi davanti ai colori e alle fogge di quelle case in stile vittoriano, compresa quella di Mrs Doubtfire (il papà travestito da tata, impersonato dal grande Robin Williams) o le sette imperturbabili Painted Ladies, che tutti fotografano su uno sfondo irto di grattacieli.
Quando ho iniziato a immergermi nella sua Chinatown, spezzone autentico di Celeste Impero (oltre il 30% degli popolazione ha gli occhi a mandorla), con musicisti di strada nei costumi tradizionali; empori zeppi di cibi, tè, radici, unguenti e diavolerie salutiste; pasticcerie traboccanti di biscotti della fortuna e mooncakes con impasto ai semi di loto, che commesse dal tratto spiccio e inglese maccheronico ti fanno cadere dell’alto, come cibo degli dei.
Quando ho curiosato tra gli interni deliziosamente fané di City Lights Bookstore, in Columbus Avenue, la libreria culla della Beat Generation, dove resiste la poet’s chiar, la sedia del poeta, testimone di quell’Urlo di protesta e dolore lanciato contro l’America da Allen Ginsberg.
Quando ho iniziato ad assaporare la natura forte dei parchi urbani, dal Presidio a quello del Golden Gate, dove i cartelli riportano avvistamenti di coyote e dove sulle spiagge di Ocean Beach si spengono onde tanto fresche quanto spumose e la gente si abbandona al sole facendo jogging, accampandosi sulla sabbia o imbastendo chiassosi barbecue.
Quando ho iniziato a sperimentare tutto questo e, soprattutto, a osservare gli abitanti che, pur vivendo in quartieri identificabili per gruppi ed etnie (italiani a North Beach; ispano-messicani a Mission, gay e lesbiche a Castro; cinesi a Cinatown; giapponesi a Japan Town; epigoni hippies e skinhead ad Haight Ashbury e via discorrendo), fluiscono tranquillamente da un settore all’altro, dando vita a un costante rimescolarsi di idiomi, culture, aspirazioni, stili di vita, ho capito che San Francisco non poteva non trovarsi che lì, sull’ultimo lembo, sul finis terrae dell’ovest americano, come una sorta di terra promessa, di approdo sicuro che accoglie tutti.
E non potrebbe non essere così: diversa dalle altre città americane. Diversa perché aperta. Diversa perché tollerante. Diversa perché visionaria, abituata ad andare oltre il contingente, a considerare il futuro come un’ opportunità, una speranza, una fede che nulla sia impossibile.
Non è un caso se, proprio qui, nella cosiddetta Bay Area, chi ha un’idea, un’intuizione che può far progredire il mondo non fatichi a trovare chi è disposto a investire su di lui.
Tutto questo non significa che la città non abbia problemi o criticità. Tutt’altro!
Basti guardare la massa di homeless che gravita su Tenderloin, il suo quartiere-dormitorio, e si trascina per le vicine Market Street e Union Square, luoghi dello shopping elegante.
In una città notevolmente più piccola di New York, questo esercito di nullatenenti, tra loro anche reduci dalle guerre in Vietnam o in Iraq, diventa notevolmente più visibile. Notevolmente più drammatico. Per noi europei difficilmente comprensibile, nonostante ci si trovi in una città dallo spiccato gusto europeo!
A San Francisco ho portato i miei due figli adolescenti, studentelli in vacanza premio, che sono rimasti folgorati dalle atmosfere da grande paesone, dallo spirito leggero e anticonformista di chi ci vive, dal suo amore per il cibo salutista e le buone pratiche di vita.
Sarà per tutte quelle montagne russe, ma obesi e ciccioni, come purtroppo in molte altre parti d’America, ne abbiamo visti davvero pochi!
A San Francisco, le cose da fare sono naturalmente tante. Una guida aggiornata e qualche lettura mirata possono essere di grande aiuto all’approccio con una città dove la vita è indiscutibilmente cara, alberghi e ristoranti costano tanto perché la richiesta è alta tutto l’anno e il volume dell’offerta sensibilmente inferiore.
Una volta setacciati quartieri e monumenti, non rinunciate alla traversata in bici del Golden Gate Bridge, il suo ponte più famoso, lungo poco meno di 3 km, con le torri arancio vivo, proprio per distinguerlo nella nebbia. E’ una sensazione indescrivibile pedalare sopra il Pacifico, con vista su tutta la baia, l’isolotto di Alcatraz e il vento che non ti molla un attimo, finché non approdi dall’altra parte, nel villaggio-merletto di Sausalito, dove ad attenderti ci sono temperature quasi mediterranee e un comodo ferry per il rientro al Pier 39 del Fisherman Warf, il quartiere del porto, zeppo di negozi, taverne, ristoranti, punti noleggio e attrazioni di ogni tipo.
Altro must è il Golden Gate Park, un rettangolone verde lungo 5 km, a ovest della città, la cui navetta (gratuita) porta alle spiagge oceaniche, fermandosi ai Giardini Botanici, a un etereo Japanese Tea Garden e a una galassia di musei, tra cui il virtuosissimo California Accademy of Sciences firmato Renzo Piano, un museo a impatto zero, eco-modello di design, con un prato ondulato cosparso di oblò al posto del tetto e un numero infinito di celle fotovoltaiche che lo fanno vivere di energia pulita. All’interno, un grande Planetario; una foresta pluviale, ambiente comune a diverse zone della terra; un Museo di Storia Naturale e un modernissimo Acquario, dove sono i pesci a spiare l’uomo.
Dicevamo che San Francisco è una città che ama mangiare bene e sano, e che, pur essendo aperta a mille influssi e tradizioni gastronomiche, sa anche valorizzare la sua cucina al km zero annaffiata dai vini della famosa Napa Valley. Scoperta gustosa e piacevolissima sono il granchio della baia, detto Dungeness Crab, grosso, rosso, spettacolare, servito lessato e accompagnato da limone o salsine, e la corroborante Clam Chowder, zuppa di vongole e granchio, servita bollente in una pagnottella lievitata naturalmente.
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