Sudafrica di-vino
Ho sempre pensato che le Winelands, le Terre del Vino sudafricane fossero un territorio esclusivamente collinare. Invece, sbagliavo.
Visitandole, ho scoperto che sono vallette ordinate, circondate da montagne, dove si coltivano vigneti dalle piantine basse che i locali chiamano bushwine.
Il microclima favorevole di questa punta d’Africa (siamo a nord di Città del Capo), i terroir diversificati e la passione dei viticoltori, consentono di portare in tavola eccellenti Chardonnay e Sauvignon, Chenin Blanc, Merlot e Pinotage dall’omonimo vitigno, quest’ultimo, tutto sudafricano, ottenuto dall’incrocio tra Pinot Nero e Cinsault o Hermitage.
Un viaggio enologico di assoluta scoperta, il mio, che vi racconto passo dopo passo.
VITICOLTORI DAL 1600
I primi a coltivare vitigni in queste fertili valli protette dalle montagne del Grande Drago furono i coloni boeri nel XVII secolo a cui si accompagnarono gli Ugonotti in fuga dalle persecuzioni in Francia.
Come già anticipato, il clima mite del Capo, la fertilità del terreno, la passione, il sapere acquisito in patria (questo per quanto riguarda gli Ugonotti), fecero di queste terre un piccolo eldorado vitivinicolo.
Negli anni, certo, non sono mancati studi, sperimentazioni, migliorie di ogni sorta, ma il tutto è andato avanti in maniera armonica, così come la colonizzazione stessa di queste zone, che vantano cittadine di carattere, mosse da casette bianche, piccole chiese dai campanili che sembrano fatti di zucchero, giardini ombrosi, enoteche accoglienti e negozietti rubavista.
Cittadine dai nomi illustri, come Stellenbosch, centro universitario d’eccellenza, dove la metà degli abitanti è costituita da studenti; o Franschhoek, una vera chicca, dichiarata Capitale Africana del Cibo, con ben tre ristoranti in vetta alle classifiche mondiali.
I VINI
I vini che ho avuto modo di degustare alla Rickety Bridge Winery, nei pressi di Franschhoek, spaziano da bianchi eleganti e freschissimi, come Chardonnay e Chenin Blanc, compagni eccellenti di antipasti e zuppe di pesce, crostacei, carni bianche, secondi di pesce, torte salate e omelette; da un rosato Shiraz con note persistenti di fragola e sentori floreali, vinificato in blend con altri uvaggi e fermentato in botti d’acciaio. E un rosso Pinotage, il vino/vitigno sudafricano per eccellenza, il simbolo dell’enologia nazionale, ottenuto dall’incrocio tra Pinot Nero e Cinsault o Hermitage, da cui il nome.
Quella del Pinotage è una storia molto interessante. Correva l’anno 1925, quando Abraham Izak Perold, professore di enologia all’Università di Stellenbosch, incrociò due varietà di vitigni, Pinot Nero e Cinsault, importati dall’Europa, dove tanto aveva viaggiato per cantine e territori vinicoli, per condurre una ricerca commissionatagli dal governo, al fine di scoprire quali fossero le varietà migliori da impiantare nel Paese.
Dopo varie sperimentazioni piuttosto deludenti, Perold decise di incrociare due vitigni tra i suoi preferiti , il Pinot Nero e il Cinsault, ottenendo una varietà capace di adattarsi bene all’ambiente sudafricano.
Ecco come nacque il Pinotage, da cui si ricava un’uva a bacca rossa dalla buccia spessa che, una volta vinificata, regala un nettare dal carattere corposo, con un livello notevole di zuccheri e tannini, sentori di frutti rossi, come prugna e mora, e note speziate di tabacco e liquirizia.
Se per molti le Winelands sudafricane sono la Borgogna dell’emisfero australe, il Pinotage è sicuramente il suo prodotto più caratteristico, invecchiato per almeno 12 mesi in botti di rovere francese (ma può essere lasciato maturare fino a 9 anni), è un compagno meraviglioso per carni rosse, insaccati, ratatouille, piatti a base di curry.
Inutile dire che, qui, in Sudafrica, il Pinotage è un vero e proprio mattatore; non si contano durante il corso dell’anno, i concorsi, le manifestazioni e persino una data di calendario -il secondo sabato di ottobre- a lui dedicati.
L’ ENOTURISMO
Ottimi, rinomati e in costante ascesa, i vini delle Winelands non sono però in grado di spiazzare la tradizione e i saperi dell’enologia italiana. Un fronte invece sul quale, a parer mio, abbiamo qualcosa da imparare, soprattutto a livello di piccole-medie aziende, è quello dell’accoglienza e della comunicazione enoturistica.
In questo lembo di emisfero australe, forte di circa 600 cantine disseminate sulla Wine Route o Route 62, non si contano le candide tenute in stile boero, quelle dagli antichi nomi francesi e quelle gestite da generazioni di coloni anglosassoni; i cottage rustici ma deliziosi acquattati tra i vigneti, così come i boutique hotel con tanto di Spa dove, in tempo di vendemmia, si respira il profumo di mosto.
Per non parlare poi delle enoteche sempre aperte a una calda ospitalità; dalle gite in trattore con allegri pic-nic tra i filari; dai festival gastronomici accompagnati ma musiche e mostre d’arte; dal buon vivere contagioso di cittadine gettonatissime, come Stellenbosch, Franschhoek, Pearl, con le loro atmosfere europee che l’Africa declina in modo unico.