Tailandia del Nord/ Laigei degli Elefanti
Lo aspettiamo da ore ormai, nel fitto della giungla nord tailandese, tra muri di vegetazione che incarnano la forza esplosiva della natura e lasciano filtrare la voce ovattata del vicino fiume Mae Taeng.
Alberi e arbusti sono così alti, impenetrabili, che i raggi del sole faticano non poco per raggiungere la terra e noi ci sorprendiamo naso all’insù, a spiare la luce che gioca a rimpiattino con tutte quelle sfumature di verde.
Annunciato da un fruscio prolungato e dal rumore di rami spezzati, vediamo finalmente profilarsi la grande sagoma grigia di un elefante guidato da un ragazzo tutto nervi, occhi d’inchiostro e sorriso contagioso. E’ Laigei, la nostra guida ventenne nonché padrone del pachiderma, che ci aiuterà ad attraversare le rapide del fiume Mae Taeng e a raggiungere i villaggi più a nord, abitati da indigeni di diverse etnie, custodi da secoli di un ricco patrimonio culturale e religioso.
Sotto la guida attenta di Laigei, l’elefante accosta a una specie di piattaforma rudimentale, ricavata a lato di un grosso albero e ci consente di salire con tutto il bagaglio e l’attrezzatura fotografica.
A un comando del ragazzo, il pachiderma inizia la sua marcia con solenne lentezza, come un transatlantico silenzioso, che si fa largo in tutto quel mare verde. Procede lento ma sicuro, il nostro bestione, senza mai scomporsi, neppure là dove il terreno è ripido e accidentato.
Non c’è ostacolo che possa rallentare la sua camminata da bulldozer, né i rami delle piante, che strappa per divorarne le foglie né le rapide fangose del Mae Taeng, il fiume che attraversa l’omonima regione collinosa a nord-ovest di Chiang Mai, nella Tailandia del nord.
Laigei conosce a uno a uno i sentieri di questa giungla, nulla o poco gli può sfuggire, neppure la presenza di un bufalo d’acqua, che ci mostra seminascosto nella vegetazione rivierasca.
Osserviamo Laigei senza tregua, cercando di non perdere ogni suo minimo gesto, per carpire il segreto di quella totale complicità tra uomo ed elefante, di quell’incredibile alchimia che rende uno complementare all’altro.
Un tempo, in queste zone, gli elefanti erano impiegati massicciamente nelle attività di disboscamento delle foreste. Oggi, invece, il loro numero è drasticamente diminuito a causa del divieto di abbattere gli alberi di teak posto dal governo tailandese.
“Utilizziamo questi animali come mezzo di trasporto nella giungla dove non ci sono strade –ci spiega Laigei, mentre strofina la pelle spessa e rugosa dell’amico-bulldozer, che la famiglia gli ha affidato. – Ciascun elefante richiede molta cura, l’addestramento dura circa quattro anni e occorre provvedere al suo mantenimento: ogni giorno, gli servono più di trecento chili di vegetali e una cinquantina di litri d’acqua”.
Dopo un’ora e mezza di questa marcia nel fiume, cominciamo a sentirci un po’ ammaccati dai sobbalzi, le braccia ci fanno male nello sforzo di tenere ben saldi i bagagli, soprattutto l’attrezzatura fotografica di Alberto.
Ancora una manciata di minuti, un ultimo tratto anche per il nostro paziente pachiderma ed eccoci nelle terre dei Chao khao, le Genti delle Montagne, un lembo di foresta in cui vivono da epoche remote qualcosa come 500mila individui appartenenti ad almeno sette tribù. Comunità indigene scampate alla globalizzazione, che custodiscono orgogliosamente usi, culture e religioni che si perdono nella notte dei tempi. Ma di loro, vi raccontiamo nel prossimo post: Tra le Genti delle Montagne. Seguiteci !
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